Writing Group:
Fabio Massimo Ulivieri¹, Giuseppe Banfi²,³, Valentina Camozzi⁴, Annamaria Colao⁵, Anna Maria Formenti¹, Stefano Frara¹, Giovanni Lombardi⁶,⁷, Nicola Napoli⁸, Andrea Giustina¹
Fabio Massimo Ulivieri, MD
¹Institute of Endocrine and Metabolic Sciences (IEMS)
San Raffaele Vita-Salute University
IRCCS San Raffaele Hospital
Via Olgettina 20, 20132 Milan, Italy
Giuseppe Banfi, MD, PhD
²IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi
Via Riccardo Galeazzi, 4, 20161 Milan, Italy
³San Raffaele Vita-Salute University
Via Olgettina 20, 20132 Milan, Italy
Valentina Camozzi, MD, PhD
⁴Endocrinology Unit, Department of Internal Medicine (DIMED)
Padua Hospital-University.
Via Nicolò Giustiniani, 2, 35128 Padua, Italy
Annamaria Colao, MD, PhD
⁵Department of Clinical Medicine and Surgery
University Federico II of Naples
Corso Umberto I, 40, 80138 Naples, Italy
Anna Maria Formenti, MD
¹Institute of Endocrine and Metabolic Sciences (IEMS)
San Raffaele Vita-Salute University
IRCCS San Raffaele Hospital
Via Olgettina 20, 20132 Milan, Italy
Stefano Frara, MD
¹Institute of Endocrine and Metabolic Sciences (IEMS)
San Raffaele Vita-Salute University
IRCCS San Raffaele Hospital
Via Olgettina 20, 20132 Milan, Italy
Giovanni Lombardi, PhD
⁶Laboratory of Experimental Biochemistry & Molecular Biology
IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi
Via Riccardo Galeazzi 4, 20161 Milan, Italy
⁷Department of Athletics Strength and Conditioning
Poznań University of Physical Education, Królowej Jadwigi 27/39, 61-871, Poznań, Poland
Nicola Napoli, MD, PhD
⁸Endocrinology and Metabolic Diseases
Campus Bio Medico University of Rome
Via Álvaro del Portillo, 200, 00128 Rome, Italy
Andrea Giustina, MD
¹Institute of Endocrine and Metabolic Sciences (IEMS)
San Raffaele Vita-Salute University
IRCCS San Raffaele Hospital
Via Olgettina 20, 20132 Milan, Italy
Fabio Massimo Ulivieri, MD
Institute of Endocrine and Metabolic Sciences (IEMS)
San Raffaele Vita-Salute University
IRCCS San Raffaele Hospital
Via Olgettina 20, 20132 Milan, Italy
Email: ulivieri@gmail.com
ORCID: https://orcid.org/0000-0003-1357-3425
SINTESI
La Vitamina D è un ormone chiave per la salute delle ossa e ha effetti extra-scheletrici rilevanti che possono giocare un ruolo importante nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19 (COronaVIrus Disease 19). La letteratura a riguardo è recente e controversa. Il Glucocorticoid Induced Osteoporosis Skeletal Endocrinology Group (G.I.O.S.E.G), da sempre presente nel dibattito scientifico relativo alla prescrizione della vitamina D, si è spesso interfacciato con l’Agenzia Italiana del Farmaco per assicurare l’appropriatezza della sua prescrizione. Data la presente pandemia e la vexata quaestio relativa alla relazione tra COVID-19 e vitamina D, G.I.O.S.E.G ha incaricato un gruppo di soci esperti di redigere il presente documento che illustra la posizione societaria in merito.
Tale documento redatto in Italiano ed in versione web friendly con collegamenti ipertestuali è stato revisionato ed approvato dal CD di GIOSEG e da tutti i membri del GIOSEG e ha rappresentato la base per la stesura del Position Statement di GIOSEG recentemente pubblicato sulla rivista internazionale Endocrine. Tale documento è offerto alla Comunità’ Scientifica ed a tutti gli Stakeholder come base di discussione e proposta operativa di approccio alla diffusa carenza della vitamina D nel nostro Paese con le sue possibili implicazioni in ambito di COVID-19, che auspichiamo vivamente a distanza di più’ di un anno dall’inizio della pandemia e della prima segnalazione da noi riportata possa rappresentare finalmente una risposta efficace e di sistema.
INTRODUZIONE
La vitamina D (VITD), ormone fondamentale per la salute delle ossa con azione immuno-modulatrice di rilevanza nel contesto pandemico Covid-19 (COronaVIrus Disease 19) (Bouillon et al, 2019), è al centro di un intenso dibattito sia scientifico che divulgativo.
L’ipovitaminosi D è nota essere una condizione di elevata prevalenza, soprattutto tra i soggetti anziani solitamente più a rischio per un esito infausto da COVID-19 [2,3]; a ciò si aggiungono le misure regolatorie recentemente promulgate per ridurre l’impatto sui budget sanitari del consumo di VITD, registrato in incremento in questi ultimi anni in diversi paesi, tra i quali l’Italia [4]. Il Glucocorticoid Induced Osteoporosis Skeletal Endocrinology Group (G.I.O.S.E.G.) ha sponsorizzato tre conferenze internazionali sugli aspetti clinici, terapeutici e di laboratorio della VITD [5,6], oltre a un documento sul ruolo della VITD nella clinica medica che evidenzia come l’accessibilità a questo ormone stia diventando un vero problema comunitario, sia a livello sanitario che socio-economico [7].
La questione è diventata oggi di massima importanza e priorità, considerando il potenziale impatto negativo dell’ipovitaminosi D sull’incidenza dell’infezione da SARS-CoV-2 e sulla prognosi del COVID-19, come sta emergendo dalla recente letteratura medica [9]. Tuttavia, mancano ad oggi chiare linee guida e raccomandazioni su come trattare e gestire il rapporto VITD e COVID-19 [9].
Per questo motivo G.I.O.S.E.G ha incaricato un panel di soci esperti di redigere questo documento, con l’obiettivo di illustrare la posizione societaria sulla questione VITD e COVID-19.
Effetti extra-scheletrici della vitamina D
La VITD esercita molteplici effetti pleiotropici, oltre al suo ruolo cruciale nel metabolismo del calcio-fosfato e nell’omeostasi ossea. Il suo deficit viene associato a un rischio maggiore di contrarre tumori, malattie cardio-vascolari, diabete, obesità e malattie immunitarie [1].
Dati osservazionali nell’uomo indicano che insufficienti livelli di VITD sono associati a diversi fattori di rischio cardiovascolare, a un aumentato rischio di infarto miocardico e mortalità per cause cardiovascolari [1]. E’ stata recentemente riscontrata anche una chiara associazione tra carenza di VITD e obesità: livelli bassi di VITD sembrano coinvolti nella adipogenesi e, pertanto, nello sviluppo dell’obesità [1].
L’evidenza scientifica ha suggerito che la VITD potrebbe svolgere azioni pleiotropiche anche nel sistema immunitario innato o acquisito, per la presenza di VDR nelle cellule immunitarie, quali macrofagi, linfociti T e B, neutrofili e cellule dendritiche.
Numerosi studi clinici hanno, infatti, rivelato associazioni tra deficit di VITD e accresciuto rischio infettivo, soprattutto del tratto respiratorio superiore [5,18].
Per tutti questi motivi si osserva una crescente attenzione alla possibile correlazione tra i livelli di VITD e le infezioni da SARS-CoV-2 e, quindi, alla possibile utilità della supplementazione di VITD per la prevenzione e la terapia del COVID-19.
Vitamina D negli anziani
L’incidenza e la prevalenza del deficit di VITD sono particolarmente rilevanti nella popolazione anziana e ancor più negli anziani istituzionalizzati in comunità, quali le RSA [19], e negli over 80 [20]. Diverse ragioni contribuiscono al deficit vitaminico D negli anziani, quali la minore esposizione alla luce solare e la ridotta capacità di sintesi cutanea, a cui consegue una minore produzione di colecalciferolo [22]. Inoltre, con l’invecchiamento si riduce l’efficienza della funzione renale, con conseguente riduzione dell’attività dell’enzima 1α-idrossilasi che converte la 25(OH)D in calcitriolo, i livelli del quale nell’anziano sono inversamente correlati ai valori plasmatici di creatinina sierica e di filtraggio glomerulare [23]. Altri fattori emergenti nel deficit di VITD sono la ridotta concentrazione di VDR nel sistema muscolo scheletrico dell’anziano e il progressivo declino della sensibilità della mucosa intestinale al calcitriolo e, quindi, all’assorbimento del calcio [22]. Bassi livelli di VITD sono implicati in varie condizioni patologiche frequenti nella popolazione geriatrica, quali le fratture da fragilità, la sarcopenia, le neoplasie, le malattie cardio-vascolari, e la depressione. Infine, anche la mortalità negli anziani è stata associata a bassi livelli di VITD [22].
COVID-19
Il COVID-19 è una malattia infettiva causata da un coronavirus di recente identificazione [29] che si è sviluppata negli ultimi mesi del 2019 ed è stata dichiarata pandemia dalla Organizzazione Mondiale della Sanità nel marzo 2020 (WHO Official Updates Coronavisrus disease 2020.) La pandemia si è diffusa globalmente e ha causato in Italia 6.791,76 casi per 100mila con 203,6 decessi per 100mila, secondo dati del 5 maggio 2021 [29].
Il Centro Europeo per il Controllo e la prevenzione delle Malattie (ECDC) ha affermato che la categoria a più elevato rischio di morte da COVID-19 sono gli ultrasessantenni [31]. Tali dati confermano che la popolazione più anziana deve essere considerata prioritaria per le misure di contenimento del rischio di infezione e di morte per COVID-19.
Pazienti ricoverati in centri di lunga degenza e persone con patologie croniche, quali ipertensione, diabete, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, immunodepressione, tumori, e obesità, presentano un alto rischio di sviluppare una forma grave di malattia respiratoria e di mortalità per COVID-19 [32,33,42–48,34–41].
E’ stato stimato che fino al 30% della popolazione complessiva dell’Unione Europea (UE), dell’area economica europea (EEA) e del Regno Unito ha un’età superiore ai 60 anni, e/o presenta una delle condizioni citate associate al rischio COVID-19 [31]. Anche se la maggior parte di queste persone ad elevato rischio per COVID-19 vive in modo indipendente o in famiglia, una certa percentuale è istituzionalizzata in RSA dove le infezioni tendono a diffondersi più rapidamente. Queste persone costituiscono un gruppo particolarmente vulnerabile e in diversi paesi europei in questi sottogruppi i decessi per COVID-19 rappresentano dal 30 al 60% del totale dei morti per COVID-19 [31].
Attualmente non disponiamo di terapie farmacologiche specifiche per il COVID-19 e la profilassi vaccinale è iniziata solo pochi mesi fa. Per queste ragioni ogni misura di prevenzione contro l’infezione da SARS-CoV-2 è necessaria, per ridurre il rischio di ospedalizzazione e per ridurre la mortalità. Come già ricordato, il deficit di VITD è una condizione diffusa in ogni fascia di età, ma è particolarmente rilevante nei soggetti con comorbidità nei quali il COVID-19 grave o mortale rappresenta un evento più frequente [54].
COVID-19 AND VITAMINA D
Livelli deficitari di VITD associati a ipocalcemia sono stati descritti frequentemente anche in pazienti gravi per altre pandemie come, per esempio, Ebola nel 2016 e SARS nel 2003 [55]; tale riscontro è presente in circa l’80% dei pazienti ospedalizzati in Italia per SARS-COv-2 [56]. Inoltre, è stato osservato che più il livello sierico del calcio è basso , peggiore è la prognosi [57].
Evidenza del coinvolgimento della VITD nell’infezione da SARS-CoV-2
L’associazione causa-effetto tra status vitaminico D, rischio di infezione da SARS-CoV-2 e gravità del COVID-19 non è stata ancora definitivamente stabilita; essa appare plausibile ma comorbidità ed età possono giuocare un ruolo più significativo rispetto al deficit di VITD nella spiegazione dell’elevato numero di decessi da COVID-19. Resta, comunque, clinicamente rilevante che in un periodo medio-lungo di osservazione un basso livello di VITD possa essere già di per sé determinante nel condizionare le comorbidità del paziente e, quindi, verosimilmente, sebbene in maniera variabile, legato alla gravità del COVID-19 [63].I pochi studi pubblicati, riferiti soprattutto alla prima ondata pandemica, descrivono una certa associazione tra focolai della malattia e latitudine e, quindi, tra VITD e scarsa esposizione solare [64,65]. E l’Italia, uno dei paesi europei con la più alta prevalenza di ipovitaminosi D, ha avuto la più alta prevalenza di infezioni da SARS-CoV-2 e di COVID-19, particolarmente nelle regioni del nord Italia [68].
Livelli di VITD e SARS-CoV-2: rischio infettivo ed esiti
Da quando è scoppiata la pandemia, molti studi sono stati pubblicati sui legami tra VITD e COVID-19; essi sono prevalentemente studi trasversali retrospettivi, alcuni prospettici e in minor numero randomizzati controllati. Vi si includono casistiche che variano molto per numero di soggetti studiati, per livelli di VITD ed esiti. Per questo motivo ci è sembrato più corretto, per analizzare più a fondo la relazione tra VITD e COVID-19 in termini di rischio di infezione, prognosi (necessità di ricovero in terapia intensiva e mortalità), utilità dei trattamenti farmacologici, riferirsi a informazioni ottenute da meta-analisi e review sistematiche.
VIT D e rischio d’infezione COVID-19
Carenza e insufficienza vitaminica D sono definiti, rispettivamente, come 25(OH) D inferiore a 20 ng/ml (50 nmol/L) e 25(OH)D tra 21-29 ng/ml (52.2-72.5 nmol/L). Questi valori nella letteratura considerata risultano associati a un maggiore rischio di contrarre l’infezione COVID-19 con OR di 1.43 (95% CI di 1.00-2.05). Nei positivi al COVID-19, il valore medio dei livelli di VITD era inferiore rispetto a quelli COVID-19 negativi (SMD =-0.37, 95% CI=0.52 to-0.21, I2=89.6%). I campioni biochimici provenivano da soggetti di età superiore ai 50 anni, di tante fasce d’età, di varia etnicità e provenienza (Asia, Europa e USA) [70]. Un recente lavoro che ha preso in considerazione entrambe le ondate pandemiche (la prima: 1 marzo-30 aprile 2020; la seconda: 1 ottobre-30 Novembre 2020), basato su 40996 determinazioni di 25-(OH)D, non ha identificato alcuna relazione tra status vitaminico D, dose UV putativa e rischio di infezione da SARS-CoV-2 [71].
VITD e prognosi COVID-19
Una correlazione tra deficit di VITD e gravità delle infezioni da SARS-CoV-2 viene segnalata soprattutto negli anziani, affetti spesso da più patologie croniche che possono influire sulla gravità dell’infezione. Il 65% dei casi più gravi presenta anche un deficit di VITD rispetto alla quota di pazienti che hanno contratto il COVID-19 in forma più lieve (OR=1.65; 95% CI=1.30-2.09 ; I2=35.7%). Il deficit di VITD è anche legato a una maggiore ospedalizzazione (OR=1.81, 95% CI=1.41-2.21) e a una maggior mortalità (OR=1.82, 95% CI=1.06-2.58) da COVID-19 [72].
L’utilità dell’intervento farmacologico
Definire esattamente il ruolo della supplementazione di VITD nel decorso di una infezione è un obiettivo difficile da raggiungere, anche se, tuttavia, dati preliminari sembrerebbero dimostrarne il beneficio.
LA POSIZIONE DEL PANEL DEGLI ESPERTI G.I.O.S.E.G
La letteratura disponibile suggerisce che somministrare un supplemento di VITD ai pazienti COVID-19 ospedalizzati e, in particolare in terapia intensiva, potrebbe dare risultati positivi, benché manchino ad oggi evidenze certe sull’efficacia degli interventi.
Il Panel ritiene che il ruolo principale della VITD sia quello di garantire alla popolazione ad alto rischio di ipovitaminosi D e di malattia respiratoria in corso di COVID-19, un livello adeguato di VITD, in considerazione del benefico delle azioni osteoprotettive e immunomodulatorie di questo ormone steroideo. A questo proposito è doveroso rilevare come gli uomini anziani siano tradizionalmente meno monitorati delle donne anziane [75]; ciò è dovuto alla falsa opinione che attribuisce l’osteoporosi coinvolgere prevalentemente il sesso femminile, mentre prevalenza e incidenza sono elevate anche nel genere maschile e, quindi, non è un caso che gli uomini ospedalizzati per COVID-19 abbiano livelli di VITD inferiori [76] e una prognosi meno favorevole rispetto alle donne [75] .
Per questo motivo il Panel raccomanda che tutti i pazienti ai quali sia già stata diagnosticata una condizione di ipovitaminosi D o abbiano in atto trattamenti farmacologici che richiedono supplementi di VITD (quali farmaci anti-osteoporotici, steroidei, farmaci anti-epilettici), continuino o inizino ad assumere VITD [77,78] .
Il Panel raccomanda, inoltre, che gli over 80 assumano (inizino o continuino) supplementi di VITD a prescindere dal loro livello circolante di VITD, in particolare nei paesi dove non si usa addizionare la VITD agli alimenti e dove c’è una diffusa carenza vitaminica D [79]. Tali somministrazioni dovrebbero avvenire indipendentemente dallo status istituzionale di vita del soggetto (residenza in autonomia o in RSA).
Il Panel raccomanda che i soggetti over 65 di entrambi i sessi con comorbidità, come diabete o obesità che predispongono all’ipovitaminosi D e al COVID-19 grave [79–81], vengano attentamente valutati per il loro profilo di ipovitaminosi D con dosaggio della 25OHD; a tutti coloro che presentano livelli di VITD inferiori a 20 ng/ml dovrebbero venire somministrati supplementi di VITD.
Il Panel suggerisce di prescrivere preferibilmente come supplemento di VITD le forme pre-attive per la loro documentata efficacia e sicurezza nella popolazione generale. Si consiglia di usare la VITD in forme attive solo per i pazienti con insufficienza epatica o insufficienza renale [82,83] .
Il Panel raccomanda che la posologia non superi quella indicata dalle attuali linee guide e note AIFA per il trattamento della ipovitaminosi D [82,84]. Da notare che tali raccomandazioni potrebbero non valere per gli obesi che richiedono supplementi maggiori di VITD pre-attiva o attiva per raggiungere un adeguato livello circolante [85].
Il Panel raccomanda che la somministrazione di VITD continui durante tutto il periodo della pandemia. Per gli over 80 in trattamento potrebbe essere utile, ma non indispensabile, verificare i livelli di VITD circolanti per una eventualmente correzione posologica, mentre la verifica di tali livelli durante il trattamento in soggetti più giovani è particolarmente raccomandata.
Per quanto attiene alla campagna vaccinale non è stata pubblicata alcuna evidenza sul miglioramento delle risposte immunitarie dei vaccini COVID-19 quando lo status vitaminico D sia adeguato [86]. Tuttavia, lo sforzo mondiale, senza precedenti, di vaccinare tutta la popolazione a rischio COVID-19, offrirebbe, secondo il punto di vista del Panel, un’occasione unica di portare all’attenzione medica tutti i soggetti ai quali servirebbe il supplemento di VITD. Questo approccio potrebbe essere utile per affrontare la doppia questione pandemica, quella COVID-19 e quella della deficienza di VITD [87–89], somministrando insieme VITD e vaccino anti-COVID-19.
A questo proposito il Panel raccomanda che si istituisca una rete nazionale tra istituzioni scientifiche e autorità sanitarie per condividere e uniformare gli approcci preventivi e curativi della ipovitaminosi D nell’era pandemica COVID-19 onde migliorare l’appropriatezza e l’efficacia degli interventi sanitari.
CONCLUSIONI
Raggiungere livelli di VITD adeguati in tutta la popolazione sarebbe una buona pratica medica per prevenire effetti negativi, sia scheletrici sia extra-scheletrici, di insufficienti livelli di VITD [90].
In uno scenario di lungo periodo, e considerando la situazione di emergenza pandemica, le Autorità Sanitarie dovrebbero prendere in considerazione la supplementazione alimentare di VITD.
In uno scenario di breve periodo, e considerando l’emergenza della situazione pandemica, il Panel ritiene che le Autorità Sanitarie e le Società Scientifiche dovrebbero collaborare a istituire un network ad hoc volto a per identificare con precisione i soggetti ai quali sia indispensabile fornire un supplemento di VITD (secondo il nostro punto di vista tutti i soggetti over 80) o identificarli con dosaggi biochimici mirati di VITD (over 65 con fattori di rischio per l’ipovitaminosi D e COVID-19).
Nelle attuali condizioni di pandemia, il Panel ritiene che queste raccomandazioni debbano essere condivise, e che siano da aggiungere ai piani di vaccinazione. Il Panel ritiene, invece, che ad oggi non si disponga di sufficienti evidenze per modificare i protocolli sanitari di terapia ospedaliera del COVID-19 con l’indicazione della somministrazione di VITD ai pazienti ricoverati.
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